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    04/12/2024

Addio a Mauro Pantani, il capitano della prima promozione in serie B dell’Avellino

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Mauro PantaniAVELLINO – Si è spento Mauro Pantani. Aveva 82 anni e viveva a Lecce, la penultima delle molte città frequentate nella sua carriera da giramondo del pallone. Ad Avellino si fermò nella stagione 1972-73, quella finita in gloria con la prima promozione in serie B. Ottenuta dopo un entusiasmante duello proprio col Lecce, steso nello scontro diretto al Partenio del 27 maggio. I lupi vinsero 1-0 (staccando così di 3 punti i rivali) una partita tiratissima (un espulso per squadra e il nostro Zucchini a momenti ci rimetteva un occhio) decisa da un rigore di Bruno Nobili al 56’. Il penalty lo guadagnò proprio Pantani con una incursione a centro area nella quale bruciò lo stopper Mamilovich (incuteva terrore già dal nome) e il libero giallorosso Salvatore Di Somma. Sì, proprio il nostro amato Totò: all’epoca con folti capelli in testa.

L’ESTRO Una volta giunto davanti al portiere in uscita, Pantani evitò l’impatto e attese astutamente che Ferretti lo toccasse col braccio: a quel punto crollò al suolo. Non fu un penalty regalato, questo no, ma abilmente guadagnato, ecco, da un giocatore appartenente alla categoria degli estrosi. A trasformarlo ci pensò l’altro attaccante di classe che aveva quella formazione, cioè Bruno Nobili: pallone piazzato alla destra del portiere, che si era intanto lanciato sulla sinistra. La perfezione. Io, potetti gustarmi il gol-promozione da posizione privilegiata, cioè dietro la porta. No, non in curva Sud, che all’epoca non era stata ancora costruita, ma proprio dietro la rete, a due metri dal portiere. Tanto che entrai subito in campo a ribadire in gol, come si usava dire, il pallone vincente. Facendo incavolare Ferretti, già incavolato di suo.

PELE’ La posizione “nobile” che potevo occupare derivava dalla mia condizione di raccattapalle ufficiale. Conferitami dall’allenatore della squadra Allievi biancoverde, ovvero Nando Del Gaudio, vecchia gloria anni Sessanta, modestamente ribattezzato dai tifosi Pelé. Il mister non mi utilizzava molto nelle sfide mattutine (“sei troppo magrolino, solo col tocco non si diventa giocatori: ti devi riempire”: tempo dopo, con innumerevoli ore alla scrivania, ci sono riuscito) però mi garantiva regolare presenza a bordo campo nelle partite dei Lupi veri. Gli ordini da eseguire erano sempre gli stessi, chiari e netti: “Guagliù, appena andiamo in vantaggio dovete sparire dal campo. Se invece stiamo perdendo jettate o sangue a recuperare subito il pallone”. Veniva poi saltuariamente aggiunto che se si andava in vantaggio precocemente, dovevamo restare ai nostri posti (chissà mai che gli avversari pareggiassero) ma palesando una incredibile difficoltà nella corsa.

LA CLASSE Dunque Pantani ha scritto una pagina molto importante della storia biancoverde. Dicevo prima della sua abilità tecnica e per onestà aggiungo adesso che trattavasi del classico alunno che studiando con costanza avrebbe potuto ottenere molto di più. Pantani, invece, ti faceva due o tre numeri e poi rimaneva una decina di minuti praticamente allo stesso posto, preferibilmente con le mani dietro la schiena (ne soffriva), a osservare nove compagni che si battevano col furore di pirati all’arrembaggio. Quelle volte che Pelé (Del Gaudio) mi schierava accanto alle panchine, potevo ascoltare nitidamente le urla di mister Tony Giammarinaro. In quei tempi l’allenatore disponeva di due riserve: un portiere (il nostro era Violo) e il cosiddetto tredicesimo, che il più delle volte era l’ala destra Fru-Fru Palazzese. Questa la formazione titolare: Miniussi (un gigante ex Inter) tra i pali; Codraro e Piaser terzini; Zucchini (ex attaccante) in mediana, Piccinini-Fraccapani i precursori della premiata coppia Cattaneo-Di Somma. In fascia destra agiva il mancino Nobili (12 reti quell’anno), mezzala destra Zoff, centravanti di manovra Desiderio Marchesi (scuola Milan, 12 reti pure lui), poi troviamo il nostro Pantani (altri 12 gol) e all’ala sinistra Bongiorni, un piccoletto tutto dribbling e scatti, dotato anche di un bel tiro. Questa squadra fu scelta da Antonio Sibilia, il presidente, che ebbe notevoli meriti in generale, e in particolare nell’affidarsi a Giammarinaro, tipo sanguigno ma pure tatticamente arguto. Definiamolo nostromo a capo della ciurma.

A LECCE Una volta promossi, non rimasero tutti in maglia verde, quei nostri eroi. E tra i primi cambiò squadra Mauro Pantani. Lo avevamo preso dalla Salernitana e lo cedemmo proprio al Lecce (insieme con la mezzala Giorgio Zoff)… Sì, volendo cercare la rivincita, il club salentino si rinforzò con due pedine fondamentali dei nostri Lupi, ma pure nella stagione 1973-74 il Lecce arrivò secondo… E del resto uno striscione apparso al Partenio in quella domenica della promozione biancoverde, aveva avvertito la squadra giallorossa in maniera logica: “Ma se LeCCe ha due C, come può andare in B?”. Inappuntabile.

IL BOLOGNA Ingoiata la delusione, Mauro Pantani andò a Cosenza a giocare la sua ultima stagione da talento incompreso. Non era la serie C il suo pascolo ideale, per padronanza tecnica e abilità tattica pure la B gli sarebbe stata stretta. Ma la sua indole da toscanaccio (era nato in provincia di Arezzo) contribuì non poco a tenerlo lontano dal grande calcio. Dove peraltro era approdato a 23 anni, quando il Bologna lo inserì nella rosa che poi avrebbe vinto lo scudetto 1964 nello spareggio con l’Inter. Pantani però venne impiegato solo in due gare di Coppa Italia. Il suo ritiro dai campi è datato 1976. Poi l’immediato e definitivo ritorno a Lecce dove decise di far fruttare il diploma Isef ed entrò nella scuola a insegnare educazione fisica. Una vita serena, rallegrata da due amatissimi nipoti e dal calore di una bella famiglia. E pazienza se il suo genio calcistico, indubitabile, non lo ha portato in serie A: non è stato il solo e non sarà l’ultimo.

 

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